Facebook e l’associazionismo democratico degli italiani nel Regno Unito
Il fenomeno della nuova immigrazione degli italiani in Inghilterra è ancora più preoccupante se si considera che le associazioni italiane in Gran Bretagna, un tempo vere e proprie società di mutuo soccorso, sono ormai in via di estinzione.
Indubbiamente, Facebook e i social networks offrono solo un parziale punto di riferimento a questi italiani, spesso di dubbia qualità e inconsistente, specie dal punto di vista dei valori che animano questi gruppi. Questi ultimi, sorti in modo un po’ spontaneistico e velleitario su Facebook e in ogni dove sulla rete, hanno poco o niente a che vedere con l’associazionismo democratico e i suoi valori fondanti. Manca un’identità precisa e, se c’è, essa è spesso condizionata da un qualunquismo di fondo o viziata da movimentismo politico con scopi ora elettoralistici ora propagandistici.
Non che i partiti e movimenti non abbiano un importante ruolo e funzione democratica nella società, ma di fatto, per loro stessa natura, essi non si pongono come principale obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori immigrati, la qualità dei servizi ad essi offerti o la difesa dei loro diritti. Salvo rare eccezioni, essi sembrano preoccuparsi più di sviluppare consensi in occasione di competizioni elettorali, che serviranno poi per convogliare voti verso quei candidati nelle liste degli italiani all’estero che ambiscono a poltrone di lusso nel parlamento italiano. Che poi le battaglie politiche di progresso si debbano condurre anche dentro le stanze del palazzo è indubbio.
Ma da un’analisi più approfondita del fenomeno dei networks come Facebook, si intuisce che i gruppi si basano sulla estemporaneità e sulla superficialità dei rapporti umani. Ci si affida un po’ al caso: non interessa molto se quello dall’altra parte sia veramente un amico. L’importante è che abbia qualcosa di “utile” da offrirti. Un generico “like” / “mi piace” è il massimo che si chiede all’utente sprovveduto che così non deve elaborare chissà quale complesso giudizio critico.
Poi, è vero, ci sono anche quelli che si sforzano di usare il mezzo con intelligenza, ma sono una minoranza. Forse è lecito credere che per la natura stessa di questo media, il tanto atteso salto di qualità non avverrà mai.
A Facebook, come aveva già denunciato la Gabanelli, brava giornalista del TG3 nel suo tanto criticato reportage televisivo su Rai3 (e per quello aggredita dal popolo di Facebook che l’ha accusata di non aver capito il carattere innovativo del fenomeno dei social network perché troppo “vecchia”), manca dunque una precisa identità, mancano i valori fondanti, senza i quali si smarrisce la via maestra.
Che fare dunque? Perseverare nella critica ad oltranza del vecchio associazionismo incapace di produrre il nuovo e di fare la differenza? Continuare a denunciare i limiti dei nuovi social networks, accusati, spesso a ragione, di essere frivoli, di diffondere qualunquismo e, in generale, di essere scarsamente rappresentativi?
C’è una terza via. Coniugare ciò che di nuovo ha saputo offrire Facebook, specie rispetto alle opportunità di viaggio, lavoro e studio all’estero con ciò che resta del buon, vecchio associazionismo democratico e progressista e quello di buono che ha saputo produrre nel corso degli ultimi decenni: i suoi valori positivi improntati alla solidarietà e alla emancipazione sociale.
E' vero: questa riabilitazione del vecchio associazionismo democratico può apparire un po' stucchevole; ma sono convinto che esso è il vero motore del cambiamento.
I segnali di rinnovamento e di rinascita non mancano, almeno qui da noi, nella nostra regione. Dunque, forse vale ancora la pena scommettere sul futuro della nostra comunità.
L’ottimismo è d’obbligo. Diciamo la verità: non ci resta molto altro.
Il fenomeno della nuova immigrazione degli italiani in Inghilterra è ancora più preoccupante se si considera che le associazioni italiane in Gran Bretagna, un tempo vere e proprie società di mutuo soccorso, sono ormai in via di estinzione.
Indubbiamente, Facebook e i social networks offrono solo un parziale punto di riferimento a questi italiani, spesso di dubbia qualità e inconsistente, specie dal punto di vista dei valori che animano questi gruppi. Questi ultimi, sorti in modo un po’ spontaneistico e velleitario su Facebook e in ogni dove sulla rete, hanno poco o niente a che vedere con l’associazionismo democratico e i suoi valori fondanti. Manca un’identità precisa e, se c’è, essa è spesso condizionata da un qualunquismo di fondo o viziata da movimentismo politico con scopi ora elettoralistici ora propagandistici.
Non che i partiti e movimenti non abbiano un importante ruolo e funzione democratica nella società, ma di fatto, per loro stessa natura, essi non si pongono come principale obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori immigrati, la qualità dei servizi ad essi offerti o la difesa dei loro diritti. Salvo rare eccezioni, essi sembrano preoccuparsi più di sviluppare consensi in occasione di competizioni elettorali, che serviranno poi per convogliare voti verso quei candidati nelle liste degli italiani all’estero che ambiscono a poltrone di lusso nel parlamento italiano. Che poi le battaglie politiche di progresso si debbano condurre anche dentro le stanze del palazzo è indubbio.
Ma da un’analisi più approfondita del fenomeno dei networks come Facebook, si intuisce che i gruppi si basano sulla estemporaneità e sulla superficialità dei rapporti umani. Ci si affida un po’ al caso: non interessa molto se quello dall’altra parte sia veramente un amico. L’importante è che abbia qualcosa di “utile” da offrirti. Un generico “like” / “mi piace” è il massimo che si chiede all’utente sprovveduto che così non deve elaborare chissà quale complesso giudizio critico.
Poi, è vero, ci sono anche quelli che si sforzano di usare il mezzo con intelligenza, ma sono una minoranza. Forse è lecito credere che per la natura stessa di questo media, il tanto atteso salto di qualità non avverrà mai.
A Facebook, come aveva già denunciato la Gabanelli, brava giornalista del TG3 nel suo tanto criticato reportage televisivo su Rai3 (e per quello aggredita dal popolo di Facebook che l’ha accusata di non aver capito il carattere innovativo del fenomeno dei social network perché troppo “vecchia”), manca dunque una precisa identità, mancano i valori fondanti, senza i quali si smarrisce la via maestra.
Che fare dunque? Perseverare nella critica ad oltranza del vecchio associazionismo incapace di produrre il nuovo e di fare la differenza? Continuare a denunciare i limiti dei nuovi social networks, accusati, spesso a ragione, di essere frivoli, di diffondere qualunquismo e, in generale, di essere scarsamente rappresentativi?
C’è una terza via. Coniugare ciò che di nuovo ha saputo offrire Facebook, specie rispetto alle opportunità di viaggio, lavoro e studio all’estero con ciò che resta del buon, vecchio associazionismo democratico e progressista e quello di buono che ha saputo produrre nel corso degli ultimi decenni: i suoi valori positivi improntati alla solidarietà e alla emancipazione sociale.
E' vero: questa riabilitazione del vecchio associazionismo democratico può apparire un po' stucchevole; ma sono convinto che esso è il vero motore del cambiamento.
I segnali di rinnovamento e di rinascita non mancano, almeno qui da noi, nella nostra regione. Dunque, forse vale ancora la pena scommettere sul futuro della nostra comunità.
L’ottimismo è d’obbligo. Diciamo la verità: non ci resta molto altro.