ITALIANS IN BRIGHTON: COME CAMBIA IL NOSTRO GRUPPO
E’ stato detto (vedi “Gli Italiani di Brighton e la Situazione del nostro paese) che la situazione di instabilità economica del nostro paese – peggiore che in altri paesi dell’area mediterranea - si ripercuote anche sulla fisionomia del nostro gruppo.
Fino a qualche tempo fa, il nostro gruppo attraeva in larga parte frotte di cercacamere e cercalavoro, ovvero di persone che si trovavano spesso in condizioni di grande difficoltà e che, come tali, spesso non avevano alcun interesse al di fuori della soddisfazione dei loro bisogni immediati: casa e lavoro per sfuggire alla situazione di caos che regna in Italia e che opprime innanzitutto i giovani lavoratori con bassa scolarizzazione.
Non più fuga di cervelli dunque, ma esodo di massa di diplomati e di operai verso Germania e Inghilterra, quest’ultima meta prediletta di tantissimi giovani per ragioni linguistiche. Infatti, l’inglese è la prima lingua insegnata – sia pure malissimo - nelle scuole italiane, ed è ormai diventata, piaccia o meno, il linguaggio della globalizzazione e del mondo del lavoro.
Basta leggere il testo del Job Act per rendersene conto, intriso com’è di termini presi in prestito dalla lingua inglese che, anche in campo legislativo, ormai viene preferita a quella di Dante. E’ un altro segno della decadenza culturale del nostro paese; della nostra arrendevolezza e della nostra cronica incapacità di governare i cambiamenti economici e culturali.
Le caratteristiche di questo esodo controverso non sono state analizzate a fondo. Dall’Italia si guarda a questo fenomeno quasi con sufficienza. Non con inquietudine o preoccupazione, come ci si attenderebbe, ma come un normale fenomeno migratorio.
Io rilevo come tutto sommato all’Italia non dispiaccia affatto che la metà dei suoi giovani senza lavoro lasci il paese. Al contrario: sembra che i giovani italiani siano quasi incoraggiati a recarsi all’estero. Con una facile battuta, potrei dire che il nostro governo guardi con favore all’esodo dei nostri giovani verso altri paesi in quanto, malgrado i suoi sforzi, non riuscirebbe ad “affamarli” tutti!
Si guarda al fenomeno dell’emigrazione come ad una normale, transitoria fase di assestamento dell’economia europea che, come tutti i complessi fenomeni sociali, comporta degli effetti collaterali indesiderati – ma neanche tanto - come le migrazioni dei lavoratori disoccupati.
Ma questo esodo incontrollato è tutt’altro che salutare per l’Europa: tanto per cominciare, è all’origine del successo dei movimenti di destra anti-europeisti, anti-immigrazione; e qui in UK è responsabile dell’avanzata dell’infame UKIP.
Questo spostamento di opinione e di sensibilità da parte dell’elettorato inglese verso sentimenti xenofobi, nazionalisti e ostili all’Europa non è un fenomeno transitorio: è solo l’inizio del declino dell’Europa così come molti di noi l’avevano immaginata (patria della democrazia e fucina di diritti).
Dunque, per paesi come il nostro, alle prese con problemi strutturali endemici della nostra economia, non si tratta di un “normale” spostamento di qualche migliaio di lavoratori in esubero, ma di una vera e propria emorragia, che si configura come emigrazione di non-ritorno, poiché i giovani che lasciano il nostro paese non hanno alcuna intenzione di farvi ritorno.
Bisogna che qui da noi, tra gli italiani d’Inghilterra, si torni a discutere di questi temi e si chiariscano alcuni nodi fondamentali. In particolare, bisogna riflettere sulla nostra idea della qualità del lavoro, e del nostro ruolo qui in UK.
Cameron, dal suo punto di vista, quello di un leader della destra inglese assillato da conti in dissesto; da una crescente ondata xenofoba; da un afflusso incontrollato di migranti da ogni parte del Sud Europa; e alla prese con un problema di immigrazione clandestina di proporzioni storiche, fa bene a dissuadere i migranti, anche a costo di ritoccare le norme che regolano l’accesso al welfare dei britannici; fa bene a incoraggiare piuttosto scambi commerciali fruttuosi per entrambi i nostri paesi; e a privilegiare la circolazione di talenti. Ma i danni al welfare e alla coesione sociale sono enormi. Crescono disparità sociali e povertà. Di fronte a tutto questo, noi italiani d’Inghilterra non possiamo stare a guardare.
Facciamo bene noi italiani a rivendicare diritti; l'applicazione più puntuale di normative europee sul welfare; a chiedere politiche dell'UE più incisive a favore della creazione di lavoro, sotto forma di maggiori investimenti e criteri più equi; maggiore protezione & servizi di orientamento dello stato italiano per i migranti e una migliore politica di accoglienza dei paesi ospitanti.
Ma la nostra iniziativa politica in questo senso sarebbe inconcludente e perdente se noi ci limitassimo alla pura denuncia, e se operassimo in totale isolamento, cioè senza ricercare il confronto e l’unità con i movimenti inglesi, sia livello nazionale che sul territorio (Brighton Benefit Campaign, Unite, Stop the Cuts, etc)
Non si pretende ovviamente il "tapis rouge", la guardia d'onore, la fanfara, e l'ossequio della Regina per chi viene a cercare lavoro in Inghilterra, ma un quadro di riferimento nel quale siano chiari diritti e doveri, che spieghi anche che cosa sono disposti a fare quei paesi che esportano migranti per ridurre l'esodo, quali politiche si intendono avviare per favorire il rientro in Italia dall'estero dei giovani che se ne sono andati e, come contro altare, attrarre turismo giovane e studenti da quei paesi meta di migranti. Altrimenti, la situazione di massiccia fuga di italiani e spagnoli verso UK e Deutschland diventerà insostenibile per tutti.
Il mio augurio è che le normative europee incentivino gli scambi e politiche virtuose come il youth work guarantee; che si armonizzino le politiche del welfare a livello europeo per garantire un livello minimo di protezione sociale equo per tutti; per mettere fine alle attuali inaccettabili disparità di trattamento dei lavoratori migranti da un paese all’altro.
Io credo che, qui in Uk, noi italiani dobbiamo agevolare questi processi non solo attraverso la mobilitazione su rivendicazioni comuni, quando opportuno, ma anche attraverso la diffusione di un’idea più coesa dell’Europa, che anteponga gli interessi e i bisogni delle persone e delle famiglie all’arroganza e alla prepotenza dei cosiddetti “poteri forti”.
Ognuno di noi, quale che sia il suo pensiero e il suo orientamento politico, torni a guardare all’unità degli italiani all’estero come ad un valore importante da riscoprire e coltivare. Questo è tanto più importante tanto più si diffonde anche tra gli italiani all’estero un atteggiamento di diffidenza quando non addirittura di ripulsa rispetto alla politica. Molti dei neo-immigrati – difficile quantificare - non sono affatto interessati al consolidamento dello spirito comunitario e, anzi, “remano contro”.
Questa considerazioni di fondo sul pessimo stato di salute del nostro paese non devono però indurci al pessimismo, già largamente diffuso: in altre parole, bisogna sforzarsi di andare oltre la semplice constatazione, superare la paura e l’arrendevolezza, e riflettere su come noi Italiani in Inghilterra, come individui e movimenti, possimao affrontare l’emergenza, e attraverso quali strumenti.
Noi di Britalians & Associazione Italiani del Sussex & Italians in Brighton, a fianco dei movimenti civili più sensibili alle istanze di rinnovamento della città di Brighton e della nostra regione, stiamo lanciando una forte iniziativa politica che culminerà nella creazione di un nuovo centro sociale a Brighton, presso il quale potrà presto funzionare quel famoso Sportello Giovani di cui già parlammo qualche anno fa, che, ci auguriamo, si potrà materializzare anche grazie ai nuovi fondi provenienti dalla UE.
Al pessimismo e all’arrendevolezza rispondiamo con idee nuove e la solidarietà, gli ingredienti migliori per un’efficace azione riformatrice. I prossimi mesi ci diranno se avevamo ragione.
EG
Fino a qualche tempo fa, il nostro gruppo attraeva in larga parte frotte di cercacamere e cercalavoro, ovvero di persone che si trovavano spesso in condizioni di grande difficoltà e che, come tali, spesso non avevano alcun interesse al di fuori della soddisfazione dei loro bisogni immediati: casa e lavoro per sfuggire alla situazione di caos che regna in Italia e che opprime innanzitutto i giovani lavoratori con bassa scolarizzazione.
Non più fuga di cervelli dunque, ma esodo di massa di diplomati e di operai verso Germania e Inghilterra, quest’ultima meta prediletta di tantissimi giovani per ragioni linguistiche. Infatti, l’inglese è la prima lingua insegnata – sia pure malissimo - nelle scuole italiane, ed è ormai diventata, piaccia o meno, il linguaggio della globalizzazione e del mondo del lavoro.
Basta leggere il testo del Job Act per rendersene conto, intriso com’è di termini presi in prestito dalla lingua inglese che, anche in campo legislativo, ormai viene preferita a quella di Dante. E’ un altro segno della decadenza culturale del nostro paese; della nostra arrendevolezza e della nostra cronica incapacità di governare i cambiamenti economici e culturali.
Le caratteristiche di questo esodo controverso non sono state analizzate a fondo. Dall’Italia si guarda a questo fenomeno quasi con sufficienza. Non con inquietudine o preoccupazione, come ci si attenderebbe, ma come un normale fenomeno migratorio.
Io rilevo come tutto sommato all’Italia non dispiaccia affatto che la metà dei suoi giovani senza lavoro lasci il paese. Al contrario: sembra che i giovani italiani siano quasi incoraggiati a recarsi all’estero. Con una facile battuta, potrei dire che il nostro governo guardi con favore all’esodo dei nostri giovani verso altri paesi in quanto, malgrado i suoi sforzi, non riuscirebbe ad “affamarli” tutti!
Si guarda al fenomeno dell’emigrazione come ad una normale, transitoria fase di assestamento dell’economia europea che, come tutti i complessi fenomeni sociali, comporta degli effetti collaterali indesiderati – ma neanche tanto - come le migrazioni dei lavoratori disoccupati.
Ma questo esodo incontrollato è tutt’altro che salutare per l’Europa: tanto per cominciare, è all’origine del successo dei movimenti di destra anti-europeisti, anti-immigrazione; e qui in UK è responsabile dell’avanzata dell’infame UKIP.
Questo spostamento di opinione e di sensibilità da parte dell’elettorato inglese verso sentimenti xenofobi, nazionalisti e ostili all’Europa non è un fenomeno transitorio: è solo l’inizio del declino dell’Europa così come molti di noi l’avevano immaginata (patria della democrazia e fucina di diritti).
Dunque, per paesi come il nostro, alle prese con problemi strutturali endemici della nostra economia, non si tratta di un “normale” spostamento di qualche migliaio di lavoratori in esubero, ma di una vera e propria emorragia, che si configura come emigrazione di non-ritorno, poiché i giovani che lasciano il nostro paese non hanno alcuna intenzione di farvi ritorno.
Bisogna che qui da noi, tra gli italiani d’Inghilterra, si torni a discutere di questi temi e si chiariscano alcuni nodi fondamentali. In particolare, bisogna riflettere sulla nostra idea della qualità del lavoro, e del nostro ruolo qui in UK.
Cameron, dal suo punto di vista, quello di un leader della destra inglese assillato da conti in dissesto; da una crescente ondata xenofoba; da un afflusso incontrollato di migranti da ogni parte del Sud Europa; e alla prese con un problema di immigrazione clandestina di proporzioni storiche, fa bene a dissuadere i migranti, anche a costo di ritoccare le norme che regolano l’accesso al welfare dei britannici; fa bene a incoraggiare piuttosto scambi commerciali fruttuosi per entrambi i nostri paesi; e a privilegiare la circolazione di talenti. Ma i danni al welfare e alla coesione sociale sono enormi. Crescono disparità sociali e povertà. Di fronte a tutto questo, noi italiani d’Inghilterra non possiamo stare a guardare.
Facciamo bene noi italiani a rivendicare diritti; l'applicazione più puntuale di normative europee sul welfare; a chiedere politiche dell'UE più incisive a favore della creazione di lavoro, sotto forma di maggiori investimenti e criteri più equi; maggiore protezione & servizi di orientamento dello stato italiano per i migranti e una migliore politica di accoglienza dei paesi ospitanti.
Ma la nostra iniziativa politica in questo senso sarebbe inconcludente e perdente se noi ci limitassimo alla pura denuncia, e se operassimo in totale isolamento, cioè senza ricercare il confronto e l’unità con i movimenti inglesi, sia livello nazionale che sul territorio (Brighton Benefit Campaign, Unite, Stop the Cuts, etc)
Non si pretende ovviamente il "tapis rouge", la guardia d'onore, la fanfara, e l'ossequio della Regina per chi viene a cercare lavoro in Inghilterra, ma un quadro di riferimento nel quale siano chiari diritti e doveri, che spieghi anche che cosa sono disposti a fare quei paesi che esportano migranti per ridurre l'esodo, quali politiche si intendono avviare per favorire il rientro in Italia dall'estero dei giovani che se ne sono andati e, come contro altare, attrarre turismo giovane e studenti da quei paesi meta di migranti. Altrimenti, la situazione di massiccia fuga di italiani e spagnoli verso UK e Deutschland diventerà insostenibile per tutti.
Il mio augurio è che le normative europee incentivino gli scambi e politiche virtuose come il youth work guarantee; che si armonizzino le politiche del welfare a livello europeo per garantire un livello minimo di protezione sociale equo per tutti; per mettere fine alle attuali inaccettabili disparità di trattamento dei lavoratori migranti da un paese all’altro.
Io credo che, qui in Uk, noi italiani dobbiamo agevolare questi processi non solo attraverso la mobilitazione su rivendicazioni comuni, quando opportuno, ma anche attraverso la diffusione di un’idea più coesa dell’Europa, che anteponga gli interessi e i bisogni delle persone e delle famiglie all’arroganza e alla prepotenza dei cosiddetti “poteri forti”.
Ognuno di noi, quale che sia il suo pensiero e il suo orientamento politico, torni a guardare all’unità degli italiani all’estero come ad un valore importante da riscoprire e coltivare. Questo è tanto più importante tanto più si diffonde anche tra gli italiani all’estero un atteggiamento di diffidenza quando non addirittura di ripulsa rispetto alla politica. Molti dei neo-immigrati – difficile quantificare - non sono affatto interessati al consolidamento dello spirito comunitario e, anzi, “remano contro”.
Questa considerazioni di fondo sul pessimo stato di salute del nostro paese non devono però indurci al pessimismo, già largamente diffuso: in altre parole, bisogna sforzarsi di andare oltre la semplice constatazione, superare la paura e l’arrendevolezza, e riflettere su come noi Italiani in Inghilterra, come individui e movimenti, possimao affrontare l’emergenza, e attraverso quali strumenti.
Noi di Britalians & Associazione Italiani del Sussex & Italians in Brighton, a fianco dei movimenti civili più sensibili alle istanze di rinnovamento della città di Brighton e della nostra regione, stiamo lanciando una forte iniziativa politica che culminerà nella creazione di un nuovo centro sociale a Brighton, presso il quale potrà presto funzionare quel famoso Sportello Giovani di cui già parlammo qualche anno fa, che, ci auguriamo, si potrà materializzare anche grazie ai nuovi fondi provenienti dalla UE.
Al pessimismo e all’arrendevolezza rispondiamo con idee nuove e la solidarietà, gli ingredienti migliori per un’efficace azione riformatrice. I prossimi mesi ci diranno se avevamo ragione.
EG