LA NOSTRA IDEA DI COMUNITA’
Nel nostro gruppo, nei nostri dibattiti, si trovano spesso a confronto due visioni della comunità italiana, anzi 3.
La prima è di gran lunga quella predominante, in quanto sposa in pieno la filosofia di Fb, cioè di una piattaforma sciocca e informe, dove domina lo spontaneismo e si predilige il frivolo, l’informazione spicciola e il gozzoviglio. Il tutto viene poi spacciato da qualcuno per "democrazia diretta".
Secondo i fautori di questa visione, non esiste la comunità degli italiani all’estero, almeno non nel senso tradizionale, ma tanti italiani tutti diversi tra loro accomunati unicamente dal soddisfacimento di esigenze immediate: cercare casa, lavoro e divertirsi. 0gni altra forma di aggregazione sociale è malvista, specie se ha una connotazione politico-istituzionale.
La seconda, che è quella che prediligo, è quella che vede nell’associazione un nucleo di persone sensibili e impegnate sul terreno sociale, interessate a dare vita ad iniziative utili a consolidare lo spirito solidale nelle nostre comunità locali, prescindendo dalle sigle politiche o dagli orientamenti politici individuali.
La terza è una visione ancora più minoritaria ed estrema, che diffida per principio di qualsiasi forma di aggregazione di tipo etnico o nazionalistico. Secondo questa visione, non esiste una questione specifica degli italiani in Inghilterra, e ancora meno degli italiani all’estero, o di qualsiasi altro gruppo legato ad una particolare nazionalità.
Non esiste nemmeno l’italianità, che viene considerata un valore fuorviante e pericoloso, in quanto insinuerebbe una presunta sia pure implicita superiorità di un popolo o di una cultura rispetto ad un'altra; il concetto di italianità viene assimilato ad un valore borghese e di destra intriso di ipocrisia e di falso patriottismo. Esistono gli stati nazionali e i territori, ma al di sopra di tutto esistono i popoli.
Secondo questa visione, le battaglie degli italiani all’estero e le loro rivendicazioni sarebbero fuorvianti e farebbero il gioco dei potenti : banche; gruppi finanziari; partiti e parlamenti a loro asserviti. E’ una visione marxista della realtà che conosco bene e rispetto, ma che non è la mia.
Esiste secondo me un filo conduttore comune, una questione italiana che ci accomuna. L’italianità non è un coincidenza fortuita; il fatto di parlare la stessa lingua e di trovarci tutti nel Regno Unito, ad affrontare problemi molto simili non è una circostanza casuale.
Quando gli italiani d’Inghilterra, ognuno con il proprio punto di vista, si batterono insieme per la conquista del diritto di voto, tutti noi realizzammo di aver raggiunto un grande traguardo; avvertimmo una sensazione di unità e di giustezza della nostra battaglia che culminò nella prima conferenza degli italiani nel mondo, a cui partecipò anche una nostra delegazione. Nessuno, eccetto i più oltranzisti (la Lega e Rifondazione), contestò quel grande traguardo.
Ma a distanza di 15 anni da quella battaglia, che rappresentò il massimo momento di unità degli italiani nel mondo, quale insegnamento possiamo trarre da quella esperienza? Fu vera gloria? Forse non è questa la sede più adatta per ripercorrere gli ultimi 15 anni e sottolineare gli errori commessi. Ma resta valido il principio di fondo che animò quella battaglia che non fu solo di Mirko Tremaglia, ma fu il frutto di una storica alleanza di un ampio arco di forze politiche, di movimenti e di associazioni democratiche sparse per il mondo. Fu il frutto anche di una partecipazione senza precedenti al dibattito sul ruolo degli italiani nel mondo: non si discutè solo di voto, ma anche di politiche da adottare a favore degli italiani nel mondo.
E’ vero, gli esiti di quella grande stagione di rinnovamento sono poco convincenti: oggi è tornata la divisione; regna il caos e l'indifferenza generale; i ritardi sono all’ordine del giorno: l’elezione dei Comites è stata rimandata per anni, e solo di recente si intravede uno spiraglio di una possibile soluzione, con le elezioni indette entro la fine dell’anno; il ruolo del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) è tuttora oggetto di dibattito controverso, così come la spinosa questione della Circoscrizione Estero. Insomma, permangono le lentezze, i ritardi e i difetti tipici di certa politica all’italiana, da cui neanche gli italiani all’ estero sono immuni.
Con l’approssimarsi del rinnovo dei Comites, annunciato qualche mese fa ma già passato in sordina, è fondamentale che gli italiani d’Inghilterra ci confrontiamo sulla nostra idea di comunità e, più esattamente, su cosa vogliamo fare:
a) Rispolverare le vecchie politiche migratorie, con l’associazionismo decrepito che favoriva la corruzione e il privilegio ?
b) Sposare la linea dei fans di FB, ovvero assecondare le mode correnti, che vogliono trasformare i nostri gruppi e le nostro associazioni in semplici centri di assistenza, come gli “Informagiovani”.
c) Chiudere baracca e burattini e confluire dentro i movimenti inglesi
b) Rilanciare l’iniziativa politica degli italiani all’estero conservando una propria fisionomia, ma battersi a fianco dei movimenti inglesi (ma non sciogliendosi al loro interno) per obbiettivi di riforma e di progresso comuni?
Io propendo per questa ultima ipotesi. Ma, ahimé, quelli che la pensano come me si possono contare sulle dita della mano. Sono tempi duri per quelli come noi …
EG
La prima è di gran lunga quella predominante, in quanto sposa in pieno la filosofia di Fb, cioè di una piattaforma sciocca e informe, dove domina lo spontaneismo e si predilige il frivolo, l’informazione spicciola e il gozzoviglio. Il tutto viene poi spacciato da qualcuno per "democrazia diretta".
Secondo i fautori di questa visione, non esiste la comunità degli italiani all’estero, almeno non nel senso tradizionale, ma tanti italiani tutti diversi tra loro accomunati unicamente dal soddisfacimento di esigenze immediate: cercare casa, lavoro e divertirsi. 0gni altra forma di aggregazione sociale è malvista, specie se ha una connotazione politico-istituzionale.
La seconda, che è quella che prediligo, è quella che vede nell’associazione un nucleo di persone sensibili e impegnate sul terreno sociale, interessate a dare vita ad iniziative utili a consolidare lo spirito solidale nelle nostre comunità locali, prescindendo dalle sigle politiche o dagli orientamenti politici individuali.
La terza è una visione ancora più minoritaria ed estrema, che diffida per principio di qualsiasi forma di aggregazione di tipo etnico o nazionalistico. Secondo questa visione, non esiste una questione specifica degli italiani in Inghilterra, e ancora meno degli italiani all’estero, o di qualsiasi altro gruppo legato ad una particolare nazionalità.
Non esiste nemmeno l’italianità, che viene considerata un valore fuorviante e pericoloso, in quanto insinuerebbe una presunta sia pure implicita superiorità di un popolo o di una cultura rispetto ad un'altra; il concetto di italianità viene assimilato ad un valore borghese e di destra intriso di ipocrisia e di falso patriottismo. Esistono gli stati nazionali e i territori, ma al di sopra di tutto esistono i popoli.
Secondo questa visione, le battaglie degli italiani all’estero e le loro rivendicazioni sarebbero fuorvianti e farebbero il gioco dei potenti : banche; gruppi finanziari; partiti e parlamenti a loro asserviti. E’ una visione marxista della realtà che conosco bene e rispetto, ma che non è la mia.
Esiste secondo me un filo conduttore comune, una questione italiana che ci accomuna. L’italianità non è un coincidenza fortuita; il fatto di parlare la stessa lingua e di trovarci tutti nel Regno Unito, ad affrontare problemi molto simili non è una circostanza casuale.
Quando gli italiani d’Inghilterra, ognuno con il proprio punto di vista, si batterono insieme per la conquista del diritto di voto, tutti noi realizzammo di aver raggiunto un grande traguardo; avvertimmo una sensazione di unità e di giustezza della nostra battaglia che culminò nella prima conferenza degli italiani nel mondo, a cui partecipò anche una nostra delegazione. Nessuno, eccetto i più oltranzisti (la Lega e Rifondazione), contestò quel grande traguardo.
Ma a distanza di 15 anni da quella battaglia, che rappresentò il massimo momento di unità degli italiani nel mondo, quale insegnamento possiamo trarre da quella esperienza? Fu vera gloria? Forse non è questa la sede più adatta per ripercorrere gli ultimi 15 anni e sottolineare gli errori commessi. Ma resta valido il principio di fondo che animò quella battaglia che non fu solo di Mirko Tremaglia, ma fu il frutto di una storica alleanza di un ampio arco di forze politiche, di movimenti e di associazioni democratiche sparse per il mondo. Fu il frutto anche di una partecipazione senza precedenti al dibattito sul ruolo degli italiani nel mondo: non si discutè solo di voto, ma anche di politiche da adottare a favore degli italiani nel mondo.
E’ vero, gli esiti di quella grande stagione di rinnovamento sono poco convincenti: oggi è tornata la divisione; regna il caos e l'indifferenza generale; i ritardi sono all’ordine del giorno: l’elezione dei Comites è stata rimandata per anni, e solo di recente si intravede uno spiraglio di una possibile soluzione, con le elezioni indette entro la fine dell’anno; il ruolo del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) è tuttora oggetto di dibattito controverso, così come la spinosa questione della Circoscrizione Estero. Insomma, permangono le lentezze, i ritardi e i difetti tipici di certa politica all’italiana, da cui neanche gli italiani all’ estero sono immuni.
Con l’approssimarsi del rinnovo dei Comites, annunciato qualche mese fa ma già passato in sordina, è fondamentale che gli italiani d’Inghilterra ci confrontiamo sulla nostra idea di comunità e, più esattamente, su cosa vogliamo fare:
a) Rispolverare le vecchie politiche migratorie, con l’associazionismo decrepito che favoriva la corruzione e il privilegio ?
b) Sposare la linea dei fans di FB, ovvero assecondare le mode correnti, che vogliono trasformare i nostri gruppi e le nostro associazioni in semplici centri di assistenza, come gli “Informagiovani”.
c) Chiudere baracca e burattini e confluire dentro i movimenti inglesi
b) Rilanciare l’iniziativa politica degli italiani all’estero conservando una propria fisionomia, ma battersi a fianco dei movimenti inglesi (ma non sciogliendosi al loro interno) per obbiettivi di riforma e di progresso comuni?
Io propendo per questa ultima ipotesi. Ma, ahimé, quelli che la pensano come me si possono contare sulle dita della mano. Sono tempi duri per quelli come noi …
EG